Cosa si intende per endometriosi?
L’endometriosi è una patologia che consiste nella proliferazione del tessuto uterino endometriale in aree extra-uterine e può̀ arrivare a colpire non solo la zona pelvica, ma anche l‘intestino, i reni e persino la cavità toracica. In genere le zone più̀ colpite sono il legamento utero-sacrale, le tube ed il setto retto-vaginale. Questo tessuto endometriale anomalo risponde, come quello normale, alla stimolazione degli ormoni e della loro ciclicità e, quindi, va incontro alla medesima e periodica fase di sanguinamento. Tale evento provoca, in modo diverso e sulla base della localizzazione, tessuto cicatriziale ed aderenziale e, conseguentemente, dei danni prima anatomici e poi di tipo funzionale. I sintomi sono di vario tipo: dolore pelvico (durante i giorni della mestruazione o della ovulazione), colon irritabile (che può essere accompagnato anche da dolore all‘evacuazione), disturbi ciclici urinari, dolore nel rapporto sessuale. E’, quindi, una malattia ginecologica non tumorale, seconda per frequenza al fibroma uterino, che colpisce il 2-4% delle donne in età riproduttiva, di ogni razza e condizione sociale. La gravità della sintomatologia può variare molto da lieve fino a una condizione dolorosa debilitante. Non esiste una terapia risolutiva e anche la chirurgia laparoscopica spesso non ottiene risultati duraturi perché la malattia tende a ripresentarsi. In Italia sono affette da endometriosi circa il 5% delle donne e, in totale, si stimano circa 3 milioni di casi di endometriosi, nei vari stadi clinici. Il picco si verifica tra i 25 e i 35 anni, ma la patologia può comparire anche in fasce d’età più basse. L’endometriosi si accompagna a sofferenza psichica caratterizzata da un’elevata incidenza di disordini affettivi, da importanti alterazioni dello sviluppo psicosessuale e da significativi conflitti circa l’identità di ruolo.
Perché parlare di malattia somatica e mito?
Il mito, inteso da C.G Jung, come il grande sogno dell‘umanità, può essere usato per creare un collegamento tra il piano dell‘archetipo e un preciso passaggio evolutivo ontogenetico e filogenetico presente nell’uomo. Si parla, quindi, di immagini mitologiche che si possono trovare nella biologia, nell’anatomia e nella costituzione umana come accade per il mito di Persefone. Infatti, quest’ultimo evidenza l’aspetto della ciclicità come ordine, creando analogicamente un ponte tra il ciclo mestruale e le vicende mitologiche riportate dal Graves nel volume “I miti greci”. A tal proposito, Demetra, dal greco Madre terra o forse Madre dispensatrice, nella mitologia greca è la dea del grano e dell'agricoltura, costante nutrice della gioventù e della terra verde, artefice del ciclo delle stagioni, della vita e della morte, protettrice del matrimonio e delle leggi sacre. Negli Inni omerici viene invocata come la portatrice di stagioni. Analogicamente, approfondendo i simboli di Demetra, si può dire che, come Grande Madre, Demetra nel corpo potrebbe essere identificata con l‘apparato genitale femminile, composto da utero, la cui immagine evocativa di terra verde, fertile e prospera, ci può ricordare l‘endometrio sul quale si impianta l‘ovulo e l‘ovaio, evocato nell‘immagine del grano, i cui chicchi di forma ovale, come una mandorla, ricalcano la forma dell‘ovaia stessa, dentro la quale si trovano i follicoli in attesa della maturazione. Allo stesso modo, Core, dal greco fanciulla, figlia di Demetra e Zeus, ci evoca nella sua pura e vergine natura, la storia del follicolo primordiale che maturando, sotto la spinta dei cicli ormonali, si fa ovulo da fecondare.
Zeus, padre degli dei, etimologicamente è l'evoluzione di Diēus, il dio del cielo diurno della religione Protoindoeuropea chiamato anche Dyeus phtēr (Padre Cielo): nel nostro corpo umano quale può essere la parte cielo? Se si dovesse separare il corpo in tre parti si potrebbe dire, facendo riferimento alla metafisica orientale, che dai piedi fino all‘addome si trova la parte terra, dall‘addome alla gola la parte intermedia e dalla gola in su la parte cielo. Dunque Zeus rappresenta simbolicamente la testa e quindi il sistema nervoso centrale e, in particolare, dato che stiamo trattando il ciclo mestruale, la funzione ipotalamo. Zeus, come ben racconta il Graves, non impone la sua decisione, ma lascia che i cicli ormonali avvengano, ossia che Ade, suo fratello, agisca secondo la sua natura (asse ipotalamo-ipofisario). Dunque Ade potrebbe simboleggiare, secondo questa lettura, l‘ipofisi che stimola l‘ovaio a secernere l‘ormone luteinizzante e che porta Core nel Tartaro-Tuba Ovarica. Perché trattare tutto ciò?
Perché nell’endometriosi, la lettura simbolica del mito e la corrispettiva analogia nel corpo umano ci porta a pensare a un materno che dilaga senza confini, come un manto che copre, che si espande in una crescita che ha perso l‘ordine della dimensione e del limite e crea caos, soffocando le potenzialità creative e progettuali della donna che soffre di tale patologia. Come Demetra non si ferma nella ricerca disperata della sua Core, così il tessuto endometriale si espande e dilaga negli altri distretti corporei. I sintomi dolorosi si manifestano maggiormente durante la fase ovulatoria fino al periodo mestruale e, dal punto di vista psichico, esprimono dolore e fatica nel portare a maturazione progetti. Sarebbe come dire che, in queste donne, la madre-Demetra, è introiettata come madre che nel momento in cui scopre che la figlia Persefone ha mangiato la melagrana, decide di non tornare sull‘Olimpo, ma bensì di continuare a portare morte e carestia non accettando di rinunciare ciclicamente alla figlia. Vi sono anche casi di endometriosi che presentano comorbilità con patologie ematiche, in particolare patologie di fattori di coagulazione del sangue. L‘aspetto della consapevolezza delle emozioni è negato e spesso sono donne che si occupano del dolore e del disagio altri, nella loro professione, ma negano il loro mondo emotivo costellato di complessi di abbandono. Il rapporto con il corpo e la femminilità, in chi soffre di endometriosi, tende ad essere un rapporto frammentato, in cui l‘attenzione e la cura intervengono solo in relazione al dolore e ai processi di somatizzazione, o al contrario, vi è un‘attenzione estetica che risponde ancora a un meccanismo di scarso contatto con l‘intimità.
Perché iniziare un percorso terapeutico?
Per evitare che il mondo emotivo che sottende tale patologia e chi ne soffre rimanga imprigionato nel Tartaro senza poter venire alla luce come Persefone. Il percorso terapeutico è finalizzato a far sì che la singola donna, affetta da questa patologia, possa iniziare un processo di separazione e realizzazione, separandosi, così, da ciò che tutto copre e nulla permette di germogliare. Il setting terapeutico offre un terreno fecondo che può portare a una nuova ciclicità e a una spinta creativa che, seguendo ritmi e tempi naturali, arriva a manifestare e a far crescere i progetti di Core-Persefone che esprimono e raccontano una nuova ciclicità evolutiva.
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