Tra le patologie più diffuse al mondo vi rientrano anche quelle oncologiche, tanto che nel 2040 si stima che la quota di nuovi casi diagnosticati all’anno raggiungerà quasi i 29.5 milioni (GLOBOCAN, 2019). Nonostante questi dati, la nostra nazione sembra possedere una “prognosi” non così infausta come quella che caratterizza altri paesi. Infatti, secondo il censimento ufficiale dell’AIOM e dell’AIRTUM, i casi di tumore in Italia vengono descritti come in “stato di diminuzione”. A tal proposito, nel 2019, sono state registrate 371mila diagnosi: 2000 in meno rispetto all’anno 2018. Inoltre, con l’avvento delle nuove tecnologie terapeutiche basate su regimi di trattamento multidisciplinare sempre più elaborati, oggi, molti pazienti oncologici sono curati con terapie specifiche e molti altri possono godere di un’aspettativa di vita molto più lunga rispetto al passato. Ovviamente, ammalarsi di tumore non è mai un’esperienza senza conseguenze! Questa patologia tocca sempre profondamente le persone, permeandone il funzionamento psichico e dando spesso luogo all’emergere di una “nuova” identità, oltre che di nuovi significati e interpretazioni del mondo.
Quali possono essere le reazioni psicologiche connesse alla crisi della scoperta?
Si parla di crisi della scoperta perché la parola “crisi” contiene in sé tanto il concetto di pericolo quanto quello di opportunità. In alcuni casi, infatti, l’esperienza di malattia può innescare una reazione positiva attraverso lo sviluppo di sentimenti di aumentata autostima, iperattività, maggior apprezzamento della vita e intime sensazioni di pienezza: tutti elementi che possono essere racchiusi nel termine di “crescita post-traumatica”. In un’ampia percentuale di casi, invece, la crisi della scoperta è causa di un disagio emozionale più o meno marcato e connesso a quattro fattori principali: la minaccia esistenziale della malattia, le conseguenze psicosociali (sospensione o perdita del lavoro e cambiamento del proprio ruolo in famiglia), le conseguenze del processo morboso e le conseguenze del trattamento. Generalmente, la minaccia all’esistenza fisica costituisce uno degli elementi più dirompenti del vissuto psicologico di una persona e in questo senso è paragonabile a un vero e proprio trauma fisico. La comunicazione di una diagnosi di tumore, infatti, dà luogo a un processo reattivo caratterizzato da uno spostamento dall’immagine di sé come sano a quella di sé come malato e dalla percezione di un corpo “affidabile” a quella di un corpo “che può tradire”.
Ansia, depressione, rabbia o stati di confusione possono rappresentare una normale risposta dell’individuo all’esperienza che sta vivendo e, proprio per questo, non devono essere solo vissute come disturbi o espressioni negative della malattia. Infatti, queste manifestazioni emotive rivestono anche un significato di adattamento per l’individuo sul piano della realtà e del rapporto con gli altri, permettendogli la liberazione di sentimenti interni, di tensione e di malessere che altrimenti rischierebbero di rimanere intrappolati nel suo corpo.
Il ruolo della psicologia nel trattamento della persona con tumore
La psicologia e, in particolare, la psiconcologia ha come obiettivo quello di aiutare l’individuo a comprendere come una malattia organica influenzi non solo la biologia del corpo, ma anche la sua rappresentazione mentale, le sue relazioni e il suo futuro. Non solo, la relazione terapeutica fornisce l’occasione di co-costruire un percorso all’interno del quale la persona può imparare a gestire il proprio turbamento emotivo e la nuova immagine di sé, senza paura di disintegrarsi e senza perdere la propria continuità esistenziale.
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